UGO PERDONALI, PERCHE' NON SANNO QUELLO CHE FANNO

Quando a parlare è Ugo Napolitano, non ci sono grosse presentazioni da fare. Bisogna soltanto mettersi in religioso silenzio ed apprendere.
Il "gigante buono" per 8 anni è stata una colonna della difesa rossoblu, a cavallo tra gli anni '80 e '90. Ottavo calciatore nella storia del Cosenza Calcio per numero di presenze (226), ha rappresentato a distanza di decenni un esempio di attaccamento alla maglia, portatore sano di valori umani solidi.
L'arcigno stopper nativo di Napoli nella storica estate del 1984, è un giovane di 19 anni che dalla Primavera di Soccavo viene aggregato nel ritiro degli azzurri a Castel del Piano, dove ha la fortuna di allenarsi, mangiare e correre assieme al più forte calciatore che la storia abbia mai conosciuto: Diego Armando Maradona.
Dopo anni di gavetta in serie C, arriva a Cosenza nell'estate del 1988, quella del ritorno in serie B dopo 25 lunghi anni e diventerà sin da subito un idolo nell'immaginario collettivo, per la grinta con cui affronta ogni avversario che passava dalle sue parti, usando armi lecite e non, ma senza mai mancare di rispetto. Difendere è stata la sua missione di vita e Cosenza è stata la sua oasi di felicità, scrivendone alcune delle pagine più bella della storia rossoblù.
Sfiorò la massima serie in due stagioni, da matricola con la storica cavalcata di Bruno Giorgi e lo spareggio promozione con la Reggina sfumato negli ultimi 15 minuti del campionato, per colpa della classica avulsa appena introdotta.
Ma la vera cocente delusione rimane quel 14 giugno 1992 di Lecce, dove oltre 12 mila tifosi silani assiepati nel settore ospiti del Via Del Mare videro svanire il sogno dello spareggio per la serie A con l'Udinese a pochi minuti dalla fine, quando fatale fu il colpo di testa di Maini, per i sogni di un'intera città pronta alla festa.
Ben altre emozioni sta vivendo quel roccioso difensore centrale che ha messo radici a Cosenza, dove vive con figli e nipoti. Un amore viscerale e simbiotico con una città che lo ha eletto a suo guerriero e degno rappresentante.
Non è sfuggito ai più, il racconto del leader silenzioso relativo alla trasferta di Frosinone. Un giorno da ultras per lui, l'occasione per osservare con gli occhi di chi sta dall'altra parte della barricata, in queste ore infangata da racconti su ricostruzioni ed inchieste sommarie, volte a screditare il nome di una categoria, quella degli ultrà. Che ricordiamo, qualora ce ne fosse bisogno, essere persone comuni, come se ne trovano in chiesa, in farmacia, nelle tribune politiche, dallo psicologo, al bar o nelle piazze. Corre l'obbligo di ricordare che le sostanze proibite possono circolare ovunque, senza che si debba infangare una particolare comunità di individui che hanno come passione comune la curva, l'appartenenza agli stessi colori e la condivisione di precisi ideali.
Le emozioni che ti regala una giornata vissuta seguendo i propri colori sono talmente forti da farti quasi scivolare, per il tempo di percorrenza del viaggio, le delusioni per una gestione societaria dilettantistica, l'assenza di ambizione atavica, l'incapacità di cogliere le potenzialità di una tifoseria che in oltre 500 unità percorre oltre 1000 km da ultimo in classifica, lasciando famiglie, lavoro, problemi e salute alle spalle per credere in un sogno, per gridare al cielo cose del genere: "Cosenza alè, non tifo per gli squadroni ma tifo te. E mo mi ste scialannu veramente... e da partita u mi ni frica nè!" o se preferite :" Che importa se, sta arrivando la retro-ce-ssio-ne, che vuoi che sia, in ogni categoria, Cosenza Calcio, io non vivo senza te!".
Come ribadito dallo stesso Napolitano, che il Cosenza ce lo ha scolpito sotto la pelle, questa piazza non merita tutto ciò che sta vivendo.
Bistrattata, mortificata e derisa in tutta Italia per colpa di chi non riesce proprio a rappresentarla, poiché troppo impegnato a coltivare il proprio business.
Ci vorrebbero 10, 100, 1000 Ugo Napolitano nella società Cosenza Calcio, per sentirsi rispettati come tifosi, proprio come quando scendeva in campo con la maglia più bella del mondo e gli attaccanti generazionali dell'epoca ancora oggi ricordano con timore reverenziale gli scontri contro quel Cosenza. Ci fosse stato lui ieri come dirigente in campo, statene certi, determinate scene vissute allo Stirpe non lo avremmo mai subite.
Perdona Ugo, tutti quelli che volente o nolente, danneggiano il buon nome di questa gente. D'altronde, può succedere a tutti di commettere errori, come la piazza di Cosenza è stata capace di perdonarti le tue 14 presenze in maglia giallorossa.
Caro Ugo, puoi stare tranquillo, noi che ci siamo già passati 22 anni fa, non lasceremo che ci venga tolta nell'indifferenza generale, la cosa più importante che abbiamo. Quest'amore non tramonterà mai e verrà tramandato di generazione in generazione, perché il Cosenza è di chi lo ama. Soprattutto nella tempesta.
Perché se il Cosenza è una forma di allenamento alla vita, siamo allenatissimi: salteremo di gioia senza stancarci.